Diete dimagranti a suon di antidepressivi. Le donne in cura dai medici per cui adesso è stato disposto il rinvio a giudizio non sapevano che era stato prescritto loro anche il bupropione. Nessuna ha mai firmato un consenso informato.
Un antidepressivo derivato dell'anfetamina che in Italia è stato vietato dal ministero della salute nel 2015. E che invece quei medici, di medicina generale e dietologi, continuavano a indicare insieme ad altri farmaci alle donne che avevano in cura per dimagrire. Sono sette i medici per cui ieri il giudice per l'udienza preliminare, Natalia Giubilei, ha disposto il rinvio a giudizio.
Sono stati invece prosciolti i quattro farmacisti che erano finiti nell'inchiesta dei Nas, al pari dei medici, perché, erano loro a preparare i prodotti galenici. L'inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore, Manuela Comodi, era approdata in udienza preliminare nel 2018. Il giudice però aveva disposto un'integrazione del capo di imputazione dopo la contestazione della genericità delle stesse accuse da parte della Procura. Dopo l'integrazione, si è comunque andati avanti per nove udienze e solo ieri il giudice ha emesso il dispositivo differenziando le posizioni di medici e farmacisti.
I sette medici, tutti con studi tra Perugia, Bastia Umbra e Foligno, dovranno rispondere di aver somministrato medicinali pericolosi per la salute pubblica e di falso in atto pubblico. Questo per aver “prescritto ricette galeniche comprendenti sostante farmacologicamente attive, riconosciute nella farmacopea ufficiale e autorizzate al commercio per la cura della depressione, combinate con altre sostanze fitoterapiche, potenzialmente tossiche, destinate alla cura dimagrante senza che il destinatario avesse sottoscritto il consenso informato e fosse consapevole che l'uso di sostanze antidepressive fossero vietate”.
Per i sette medici, difesi tra gli altri dagli avvocati, Gennaro Esibizione e Cesare Carini, il processo prenderà il via nel settembre del 2022. Non luogo a procedere invece per i quattro farmacisti. Il giudice ha accolto la tesi delle difese. L'avvocato Marco Brusco, che assisteva un farmacista insieme al collega Nicola Marcinnò, ha sostenuto che i farmacisti si sono semplicemente attenuti a fare quanto veniva chiesto loro nelle ricette mediche. “Non basta sostenere come fatto dalla polizia giudiziaria - scriveva il legale in una memoria - che non potevano non sapere”.
Lo stesso avvocato, al termine dell'udienza, ha dichiarato: “La lunga udienza preliminare ha dimostrato inequivocabilmente l'assoluta correttezza di operato del nostro assistito, il quale si è sempre scrupolosamente attenuto al rispetto delle norme in materia" .
Francesca Marruco - 17 febbraio 2021 - Corriere dell'Umbria,